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Erdogan “sultano” per una Turchia simbolo dell’Islam

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Certo fa effetto vedere il nuovo presidente della Repubblica di Turchia Recep Erdogan appena eletto, recarsi in pellegrinaggio presso la moschea Eyup Sultan, il luogo sacro ai musulmani in cui erano soliti ritirarsi a pregare i sultani ottomani prima dell’incoronazione.

 

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Un gesto che, inevitabilmente, ha fatto accapponare la pelle alla Turchia laica, ossia quel 30% circa che non ha votato l’ex primo ministro e che teme di perdere gradualmente tutte le libertà e i diritti civili conquistati proprio con la fine dell’impero ottomano e l’ascesa al potere di Kemal Ataturk.

Libertà e diritti laici sempre assicurati dai suoi successori, fino ad Erdogan che dopo aver vinto nel 2002 le elezioni politiche a capo del partito di centrodestra Akp con un programma economico di rilancio e di crescita dell’occupazione, ha visto aumentare sempre di più il consenso intorno alla sua figura; non soltanto per essere riuscito con il suo governo a far ripartire realmente l’economia, ma anche per aver superato i tabù dello stato laico, non imponendo nuovamente il velo alle donne nei locali pubblici, ma abolendo il divieto di indossarlo da parte di chi, per questioni religiose, riteneva opportuno portarlo.

Per l’opposizione laica la rimozione dei divieti introdotti dal kemalismo per rendere la Turchia sempre più moderna, occidentale e filo europeista, è stato il sintomo di un risveglio fondamentalista, preludio di un ritorno al passato, timore questo che ha finito con il generare le proteste di Gezy Park e le violente repressioni governative.

Erdogan è un nostalgico del vecchio impero ottomano e se ne avesse l’opportunità lo restaurerebbe immediatamente, su questo non c’è dubbio.

Intanto, negli ultimi dodici anni, da capo del governo ha spostato il baricentro della politica estera in favore della Fratellanza musulmana entrando in rotta di collisione con l’Egitto, con Israele e la Siria. In parole povere si è ritagliato un ruolo di equidistanza tanto dall’Iran sciita, appoggiando apertamente le rivendicazioni dei sunniti in Siria e in Iraq, che dall’Arabia Saudita che come tutti sanno guarda con ostilità l’estremismo dei Fratelli musulmani da sempre nemici giurati della monarchia di Ryad. Quindi il sostegno alle rivendicazioni della Fratellanza in Egitto, per riportare al potere il defenestrato presidente Morsi inviso ai sauditi, e alla lotta di Hamas in Palestina, alzando i toni dello scontro con il governo di Israele, accusato da Erdogan di “genocidio”.

Adesso l’ex premier è stato eletto presidente della Repubblica (non a furor di popolo ma con una discreta maggioranza che gli ha permesso di evitare il ballottaggio) e da quella posizione farà di tutto per modificare la Costituzione e trasformare la repubblica turca da parlamentare in presidenziale, in maniera tale da poter aumentare il suo potere personale.

Pare che questo passaggio avverrà in pieno accordo con la minoranza curda cui il neo presidente è pronto a riconoscere piena legittimità e autonomia, come dimostra anche l’ostinazione del leader dei nazionalisti curdi di presentarsi candidato alle elezioni, rifiutando apparentamenti con il blocco laico e repubblicano anti-Erdogan. Il nuovo presidente prega nella moschea dei sovrani ottomani ed il messaggio al mondo musulmano è chiaro; la Turchia vuole tornare ad essere il fulcro del mondo islamico, la nazione guida dei popoli musulmani.

E se al posto di un califfo o di un sultano c’è un presidente in giacca e cravatta, alla fine ha poca importanza.

 


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